In Italia il numero di titoli pubblicati continua a crescere anno dopo anno ma i lettori no.

Che senso può avere incrementare costantemente un mercato che alterna a momenti di decrescita, a momenti di stagnante non crescita e brevi sprazzi di crescita momentanea?

Ciao, sono Paul D. Dramelay autore del romanzo urban fantasy i Guardiani della Natura – L’ultimo Distintivo di cui puoi leggere i primi tre capitoli andando a questo link. Questo è il mio blog dove parlo perlopiù delle mie esperienze da aspirante autore, da autore che ha provato la strada self e che poi ha pubblicato con una casa editrice non a pagamento. Lo faccio perché spero di farti risparmiare tempo, soldi e soprattutto, brutte esperienze grazie alla mia conoscenza di questo mercato!

In Italia il numero di titoli pubblicati continua a crescere anno dopo anno, anche se i lettori diminuiscono o quanto meno, non crescono al pari dei titoli che ogni anno vengono sempre più pubblicato. Se a questo aggiungiamo il rapido decremento della popolazione (non facciamo figli) allora viene da domandarsi il senso del pubblicare tanto, promuovere poco, vendere anche meno di tanti titoli.

L’offerta funziona quindi indipendentemente dalla domanda e questo sovverte apparentemente ogni regola del mercato… a meno che non si pensi a un mondo di “pazzi” votati al lavorare in perenne perdita. La risposta a questa domanda non sta nei ricavi dalle pubblicazioni e dalle produzioni di volumi, che a livello generale, sono sempre in perdita, ma da un meccanismo un po’ contorto che è indipendente dalla domanda e dalla offerta.

 

Più della metà dei titoli esposti in una libreria, ritornano indietro agli editori invenduti.

Come funziona quindi il mercato del libro?

Partiamo dal precisare che un Editore incassa sul distribuito, ma guadagna sul venduto.

È un meccanismo finanziario che favorisce l’incremento di produzione anche in assenza di vendite poiché se un editore riesce a distribuire 5mila copie di un libro da 10 euro, riceve un assegno pari al 40 per cento della merce che ha immesso sul mercato (il 60 per cento va al distributore che rivende i libri al libraio con uno sconto del 35-38 per cento sul prezzo di copertina). Con questi 20 mila euro l’editore paga il tipografo, la carta, il grafico e la redazione. Ma siccome il pagamento avviene dopo almeno tre mesi, i soldi deve anticiparli di tasca propria o fare una fideiussione presso la sua banca, dando in garanzia l’assegno. Quindi in sostanza si fa anticipare i soldi da una banca pagando in anticipo quel 40% d’incasso (assegno) che vedrà a tre mesi circa.

Ora non va dimenticato che in Editoria esiste il diritto di resa: cioè il libraio rende i libri che non ha venduto e si fa ridare i soldi dall’Editore. Ovviamente è difficile che un Editore dia materialmente i soldi indietro, molto più probabile che pattuisca delle forme di sconti sugli acquisti successivi. Questo sia per non mettere materialmente mano alla tasca, sia per tenere in qualche modo legato il librai con quel credito vantato.

Pensando al nostro Editore che ha intascato i 20 mila euro con i quali ha pagato (anticipati dalla banca per la qual cosa si prende una somma) tutto il lavoro. Si ritroverà molto probabilmente a dover pagare il distributore per riportare indietro i libri invenduti e in più emettere un credito nei confronti dei librai per i resi effettuati. In pratica, un bagno di sangue! La strada più semplice per uscirne (o quanto meno sopravvivere) è stampare un altro libro in modo da avere un altro assegno con il quale risalire in giostra e ripetere l’operazione nella speranza di centrare il titolo che metta a posto i conti.

Naturalmente non va sempre così.

Può succedere che un libro o più di uno vendano tutte le copie della prima tiratura e siano ristampati. In questo caso l’editore guadagna e può (magari) ripianare le perdite. Inoltre gli Editori sanno che aumentare troppo i titoli porterà prima o poi al fallimento quindi stanno a attenti a non esagerare nel rapporto venduto/ritirato/nuove proposte. Ne parla certamente meglio di me Chiara Beretta Mazzotta, su Bookblister.

Anche per i libri vale il detto il troppo stroppia?

Di media, negli ultimi anni sono stati prodotti in Italia circa 60 mila titoli, una media di 164 novità al giorno, 8 ogni ora. Nel 2022 ne sono stati pubblicati 38mila e 600 novità solo nei primi sei mesi. Intendiamoci, parliamo di titoli, non di copie per titolo, se conteggiamo quelle, parliamo di milioni di volumi stampati.

Un dato che fa girare la testa sopratutto se rapportato al periodo di vita di un libro, sì perché mediamente un libro che non scala le classifiche, sparisce dagli scaffali (per chi ci arriva!) entro i 90 giorni. Questa la media durata di un libro sul mercato. Dopo tale data, il circa 70% dei volumi non è più considerato novità. Paragonandolo alla vita di un uomo, un libro invecchia un anno al giorno. Paragonandolo alla vita di un uomo, un libro invecchia un anno al giorno.

Il 2022 attesta comunque un piccolo calo nelle pubblicazioni rispetto al 2021 e il 2019. Nonostante ciò, la proposta un po’ minore, nei primi sei mesi del 2022  l’editoria di varia segna una battuta d’arresto con il 3,6% di copie vendute in meno e il 4,2% di valore del venduto (prezzo di copertina) in meno rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Nel 2000 venivano pubblicati 30 mila volumi l’anno quindi in 20 anni, a fronte di una popolazione che progressivamente leggeva meno, la cifra è raddoppiata. Questo grazie sicuramente alla facilità con cui oggi è possibile stampare un libro e sicuramente anche “grazie” al meccanismo perverso visto poco sopra.

L’autore, il giornalista Sergio C. Fanjul, «astrofisico per formazione, poeta per vocazione», nell’incipit fa appello a entrambe le sue muse con un’immagine efficace: «Quando si osserva il cielo notturno, si riesce a vedere… solo una minima parte delle stelle che compongono l’universo, e questa piccola porzione è già impressionante. Qualcosa di simile accade nelle librerie: vengono le vertigini a guardare i banchi delle novità, che cambiano di continuo e tuttavia mostrano solo la punta dell’iceberg di quello che il mercato produce ogni anno». E Fanjul ricorda che l’astronomo Carl Sagan nel suo documentario Cosmos indicò alcuni scaffali di una biblioteca per sottolineare quanti pochi libri si possano leggere in una vita rispetto all’immensità dei testi di cui disponiamo.

È ignoto chi abbia detto che “sono i troppi libri a renderci ignoranti”, alcuni attribuiscono la frase a Voltaire.

Vladimir Vladimirovič Nabokov, tra i più arditi scrittori del secolo scorso, parlava dell’alone duraturo che riescono a conquistare certi libri, capaci di imporsi sugli altri, di farsi ricordare, tramandare, diventare “endemici” nelle librerie, nelle letture e nelle letterature. Quella capacità di lasciare una traccia di sé, di non invecchiare al primo strappo di calendario, di vedersi riconosciuti per autorevolezza e qualità; romanzi che entrino dentro il lettore, ci si stabiliscano, riemergano all’occasione, arrogantemente ne determinino l’esistenza. Non so quanti libri editi negli ultimi tre decenni possano fare vanto di sentirsi addosso quel fausto “alone duraturo”. Eppure, non abbiamo mai pubblicato così tanti libri come ora, giusto?

Posto che gli editori hanno l’obbligo del fatturato, un mea culpa è giusto lo facciano pure loro.

Non avendo tempo e voglia e talvolta forse pure competenza o intuito d’investire su un libro che possa far parlare di sé a lungo e, di riflesso, vendere nel tempo, l’editore propende per il più facile piano B ovvero pubblicare di più per raggiungere con dieci titoli, quell’obiettivo (solo economico) che gli costerebbe “troppa fatica e azzardo” tentare di raggiungere e superare con una produzione più attenta e di maggiore qualità. E non tocchiamo la questione promozione, per lo più assente da parte di tutte le case editrici grandi e piccole che spingono e promuovono solo quel 10% da cui sperano poter ricavare l’utile, abbandonando tutti gli altri autori a un auto promozione maldestra.

Fonti articolo: Qui e Qui e Qui

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